sabato 21 marzo 2015

Liverpool: Beatles e Surrealismo

 





 Lo chiamano Beatles Pilgrimage, il Pellegrinaggio alla citta’ dei Beatles. E’ un viaggio a pacchetto ai ‘luoghi-santuario’ dove nacquero, vissero e si esibirono i Fab Four. Ultimamente sembra andare molto di moda e cosi’ quando mio marito mi dice di avere un business meeting a Liverpool l’indomani mattina, decido di accompagnarlo. Da ragazzina ci scambiavamo i versi di Let it be di nascosto sotto i banchi di scuola. La cosa mi emoziona.

    Dopo tre ore non-stop in auto raggiungiamo Liverpool. Picchi di palazzi antichi si dividono lo skyline con moderni cubi di cristallo. Ho letto che la citta’ e’ stata quasi completamente ricostruita dopo i massicci raid aerei tedeschi nel secondo conflitto mondiale. Oggi sembra rivivere un momento di boom  edilizio: altissime gru pendono dal cielo color metallo. Ci addentriamo a sobbalzi nel traffico cittadino. Il nostro albergo ha un nome evocativo,  Hard Days Night Hotel -unico al mondo interamente ispirato ai Beatles- cosi’ recita la pubblicita’.  Si trova nel cuore pulsante del Beatles Quarter accanto al mitico Cavern Club, dove la band era solita esibirsi prima di raggiungere fama stratosferica.

   Visto dall’esterno l’albergo e’ una scintillante cattedrale in stile vittoriano, con elaborati stucchi alle facciate e le statue di Paul, John, George e Ringo che svettano alte sul cornicione. L’ambiente interno e’ invece piuttosto cupo, dai toni retro’ del bianco e nero. Note soffuse di Hey Jude. Vecchi cimeli, memorie e ‘reliquie’ degli anni 60 coprono ogni centimetro quadrato della hall. Percepisco un’aura sacrale... e’ quasi soffocante. Dozzine di spartiti di musica pendono dal controsoffitto della reception. Yeah yeah yeah... i volti evergreen dei Golden Boys  mi sorridono giganteschi, incorniciati dai caratteristici ciuffi, i colletti biancchi inamidati e la cravattina nera. Ci viene assegnata la camera Paul Mac Cartney.

    E’ gia’ mezzogiorno. Per visitare la citta’ non mi restano che poche ore, prima che scenda il buio. Decido di infilarmi in un Sightseeing bus, uno di quei pullmann scoperti con ‘cicerone’ automatizzato per turisti frettolosi. Lentamente ‘scivoliamo’ tra i maggiori punti d’interesse. Mi resta impressa la modernissima chiesa cattolica con le quattro campane intitolate ai quattro evangelisti ma ribattezzate dai turisti Paul, John, George e Ringo.

   Respiro il passato glorioso e insieme scomodo della citta’. Fu nel 18mo secolo la capitale del commercio degli schiavi e del cotone, al centro del Golden Triangle, porto atlantico di carico e scarico tra la Louisiana (dove le navi partivano cariche di cotone per essere lavorato nelle industrie tessili d’ Inghilterra) e l’Africa (dove venivano caricati gli schiavi da deportare nelle Americhe). Da Regina dei mari, oggi Liverpool e’ la Regina del pop-rock, del turismo e della cultura (fu capitale europea della cultura nel 2008).

    Declino la possibilita’ di visitare la casa dove nacque e il letto dove dormi’ John Lennon ... o il museo dedicato alla storia dei Beatles... Per il momento la Beatlesmania ha raggiunto il mio livello di saturazione. Raggiungiamo il vecchio porto dai caratteristici fabbricati in mattoni rossi, completamente ristrutturato, e opto per la galleria d’arte moderna Tate Liverpool. Vi e’ esposta la prima mostra antologica dedicata a Leonora Carrington, l’ultima esponente del surrealismo, morta ultranovantenne pochi anni fa.

   “Italiana?” mi chiede il bigliettaio. Poi mi da’ un biglietto d’entrata ridotto. Potere dell’italianita’ nel mondo! I dipinti di Leonora Carrington sono un tripudio di colori forti e decisi con figure fantastiche dalle qualita’ femminili e animali insieme. Elementi  fiabeschi si mescolano a simboli della cultura cattolica e indigena messicana. Mi ricordano i dipinti di Frida Kahlo, che come lei visse e trovo’ ispirazione a Citta’ del Messico. In comune la stessa vita tormentata. 

   Leonora Carrington proveniva da una famiglia benestante inglese dalla quale fuggi’ a diciott’anni per diventare la giovane amante di Max Ernst (famoso pioniere del surrealismo). Con lui a Parigi incontro’ Picasso, Dali’, il poeta Henri Breton e il regista Luis Bunuel . L’amore la porto’ a Madrid durante la guerra civile spagnola dove, poco piu’ che ventenne e in seguito ad un esaurimento nervoso, fu rinchiusa e legata al letto di un ospedale psichiatrico, quindi sedata con barbiturici ed elettroschock. Riusci’ a fuggire in modo rocambolesco e a rifugiarsi in Messico. Da allora il reale e il surreale si fusero inestricabilmente nelle sue tele.
 


Venerdi’ 13 marzo: giorno di ‘iella’ secondo la superstizione anglosassone. Forse e’ per questo che stamattina sento un incipiente mal di testa. Ripartiamo per la terra del Drago rosso, il Galles. Lungo la strada noto la scritta Holywell, la Lourdes del Galles, e mi sovviene che in una remota isola greca qualcuno mi aveva parlato di questo posto come di un noto luogo di pellegrinaggio cristiano, la fonte sacra. Insisto con mio marito (sedicente agnostico) per una breve sosta.

   Il ticket office e’ impregnato di un forte odore di muffa, addobbato da rosari in vetroplastica, medagliettie di vari santi cattolici compreso Padre Pio, statue in gesso della Madonna in tutte le dimensioni, santini, sacra sindone e quant’altro.

   “Desidera acquistare l’acqua della fonte sacra?” mi chiede il custode. Mio marito mi guarda perplesso e io declino l’offerta con un sorriso. Il signore mi spiega che la fonte d’acqua e’ sorta la’ dove e’ rotolata la testa di Santa Winefride, martire gallese decapitata nel settimo secolo da un corteggiatore respinto. La testa fu raccolta da un testimone dei fatti, riposta sul collo della vergine, che poi visse per altri 22 anni in un monastero. “E’ l’unica santa la cui morte si festeggia due volte, racconta il custode, il giorno in cui le e’ stata mozzata la testa e il giorno in cui e’ morta.” Altra occhiata di sconcerto da mio marito. Apprendo che il santuario e’ gestito dalla Societa’ delle divine vocazioni di Napoli.

   Visitiamo il tempietto gotico con la fonte d’acqua santa (costruito dalla nonna di Enrico VIII prima dello scisma da Roma). Poi riprendiamo lentamente la direzione di casa. Con me il sapore surreale e surrealista del mio viaggio/pellegrinaggio a Liverpool e dei suoi templi dove il sacro e il profano sembrano fondersi. 
Piove nelle montagne del Brecon Beacons."Back to reality!" dice mio marito con un sospiro.

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sabato 7 marzo 2015

St. David's Day



Oggi, primo giorno di marzo, e’ festa di St. David, il patrono del Galles. Cosi', di buon mattino mi avvio a piedi verso la suggestiva chiesetta del villaggio, che costituisce per la piccola congregazione (poco piu’ di una cinquantina di famiglie) un importante punto d’incontro. L' edificio e' antico: risale al 1100 ed e' costruito in pietra grigia locale su fondamenta pre-Normanne. Ora si erge come un’attempata signora su di un piccolo promontorio al centro del paese, addossata alla massiccia torre campanaria e cinta ai lati da pietre tombali vecchie e traballanti. Ai suoi piedi uno stagno dove ci sguazzano due coppie di anatre Germano reale.
   Mi avvicino alla facciata principale che presenta l' architettura normanna tipica di questi luoghi con portico a sesto acuto e  tetto d’ardesia. Spingo a fatica il grosso portone d'entrata che scricchiola e geme sotto il peso dei secoli. All’interno sono accolta in una cappella con volta a vela e i vetri a tessere di mosaico.
   "La nostra chiesa e' dedicata a Santa Tydfyl," mi spiega il Vicario, "una martire celtica del 500, epoca in cui i romani se n’erano gia’ andati lasciando dietro di se' non solo strade e accampamenti militari ma anche una diffusa contaminazione di lingua e DNA. "
   Noto che tutto il complesso avrebbe bisogno di un accurato face-lifting - le pareti in pietra calcarea sono segnate da ‘rughe’ profonde e trasudano umidita' centenaria - ma la crisi economica che attanaglia tutta Europa ‘morde’ anche da queste parti e decisamente di soldi per restaurare la piccola chiesa non ce ne sono.
   Altra considerazione personale: a casa, in Italia, non ero tra le schiere di fedeli domenicali. Ma qui, non so bene il perche’, nella chiesetta del villaggio ci vengo volentieri. E ho anche stretto le mie prime amicizie. Certo pero’ che oggi non mi aspettavo una messa per meta’ celebrata in ... lingua celtica. “In onore di Saint David” -chiarisce il Vicario dal pulpito, “che in questa terra fondo’ nel 500 la Celtic Christianity.”
   Apprendo cosi’ che Saint David, monaco gallese vissuto all’epoca del mitico Re Artu’(anche lui di questi luoghi), e’considerato un San Francesco locale per il suo amore verso gli animali e la regola ispirata ad una vita semplice e ascetica, al punto che ai suoi monaci aveva prescritto di trainare l’aratro a braccia senza l’aiuto dei buoi.

   ... Calon onest, calon lan, yn llawn daioni, Tecach yw na’r lili dos, Dim ond lan all ganu....

 cantano i fedeli in coro (io esclusa), che significa piu’ o meno:

   ... Chiedo un cuore onesto, puro e gioioso. Solo un cuore puro puo’cantare di giorno e di  notte...

   Mi guardo attorno un po’ perplessa. Tutti sono in piedi, rapiti nell’estasi della melodia, alcuni con la mano destra appoggiata al petto. Nonostante i miei innumerevoli tentativi in questi sei anni di vita gallese, la lingua celtica non riesco ancora a ‘masticarla’. E’ gutturale e dura quanto le miniere di carbone che abbondano in queste valli. Altra cosa e’ la sua gente, un popolo fiero della propria identita’ culturale, linguistica e storica. Ma soprattutto della semi-autonomia politica dalla sovranita’ della vicina Inghilterra, della quale fa parte. Forse non tutti sanno che il Regno Unito e’ formato da quattro Paesi (Galles, Scozia, Irlanda del Nord e Inghilterra) e ha quattro nazionali di rugby e quattro nazionali di calcio.
   Oggi mi sento davvero ‘un pesce fuor d’acqua’ e non so bene cosa fare. Ma poi ecco: tra me e me considero che i Celti sono vissuti anche la’ dove sono nata, nell’Italia orientale, dove ancora sussistono le loro tracce in certi suoni e vocaboli del dialetto veneto e forse... si, forse non sono poi cosi’ alieni dalle mie radici...
   Come un'onda, l’estraniamento iniziale per questa terra di draghi e narcisi selvatici (entrambi simboli del Galles), dove il cielo ha spesso il colore dell’ardesia e il verde intenso si perde nelle rotondita’ delle sue colline, sfuma lentamente lasciando spazio a ... un cuore semplice e gioioso... e, seppur titubante, mi alzo in piedi e con la mano appoggiata al petto mi unisco al coro della piccola comunita’:

    ... Calon onest, calon lan, yn llawn daioni, Tecach yw na’r lili dos, Dim ond lan all ganu...


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