sabato 20 gennaio 2018

Per Francesca




sorella maggiore di nove fratelli

Anche se di pochi anni più grande, per noi tutti eri una seconda mamma. Ancora adolescente, i nostri genitori ti avevano affidato il compito di badare ai fratelli minori e aiutarli a crescere in loro assenza, compito che sapevi assolvere con gioia e leggerezza, proprio come le fate delle fiabe che ci raccontavi.
   Succedeva infatti che mamma e papà fossero occupati al negozio fino a tarda sera e così eri tu che il pomeriggio ti sedevi paziente accanto a noi per assisterci con i compiti di scuola. Nelle lunghe sere d’inverno, in attesa che rientrassero, ci intrattenevi con il teatrino di carta colorata che avevi costruito ritagliando una scatola di scarpe, ci cantavi L’uomo in frac di Modugno, Sapore di sale e le canzoni in francese di Francoise Hardy, accompagnandoti alla chitarra o al pianoforte.
   Come un direttore d’orchestra, ti divertivi ad organizzarci in recite teatrali, danze e cori a tre voci, piccole esibizioni per accogliere i genitori quando rientravano stanchi dal lavoro e con le quali strappare loro un sorriso.
   Da piccolina fosti tu ad aiutarmi a muovere i primi passi, poi a farmi ripetere il mio nome all’infinito finché non riuscii ad articolare la temutissima erre. E infine mi insegnasti a tradurre quel nome in piccoli segni neri su un foglio a quadretti, avviandomi così alla scrittura.
      Quando giungeva l’ora di andare a letto, mi addormentavo al suono dolce della tua voce che tesseva fili incantati con trame di draghi, principi e principesse. Ricordo che un pomeriggio mi hai persino telefonato fingendo di essere Biancaneve. Quel giorno ero fuori di me dalla gioia.
   Se ero fortunata, potevo dormire nel letto accanto a te nella ‘camera delle femmine’. Dovevo solo rendermi invisibile affinché Luisa e Lolly non riuscissero a scorgermi e rispedirmi nella mia camera. Immobile, sotto le lenzuola, riscaldata dal tepore del tuo corpo, riuscivo a scorgere nel buio la luce tremolante della grande radio che filtrava da dietro una tendina. Da lì, come per magia, zampillavano suoni caleidoscopici, armonie e vibrazioni di voci lontane e inafferrabili.
   Una notte mi avvicinai a quell’oggetto magico: volevo spiare come da un oblò la vita sommersa della radio e svelare il mistero che vi si nascondeva. “Se cerchi di spostare la tendina che copre la grande radio” mi dicesti “gli gnomi folletti che abitano lì dietro si nasconderanno, le loro voci si spegneranno e la piccola luce scomparirà per sempre!”
   Erano dunque loro, gli gnomi del Paese di Biancaneve, gli artefici segreti di quell’universo fantastico, loro che abitavano dentro la grande radio e si divertivano a cantare, ballare e suonare…Erano dunque gli spiriti del bosco a tenermi compagnia con le loro voci ingarbugliate e spesso incomprensibili. Quando gli gnomi si mettevano a cantare, vedevo le mie sorelle ballare al ritmo della musica, con gli occhi sognanti e le labbra socchiuse, svolazzanti come tante fate ballerine.
   A volte le vedevo camminare tutte impettite le mie sorelle, avanti e indietro per la stanza, tenendo una pila di libri in bilico sopra la testa “per il portamento” dicevano “che deve essere sempre eretto ed elegante come quello di una regina.” Altre volte le osservavo appoggiare le mani sottili sul davanzale della finestra e, trattenendo il respiro, pennellare di rosso ad una ad una le lunghe unghie delle dita.
   Un giorno mi presentasti Roberto, il tuo fidanzatino. Era sorridente e bello quasi quanto il principe delle fiabe, ma una vocina dentro di me mi sussurrò che qualcosa in te stava cambiando. Chissà, forse un giorno saresti volata via…
   Nelle sere d’estate papà ti lasciava uscire con Roberto e gli amici a patto che io ti accompagnassi, come una piccola chaperon. Accanto a te davanti allo specchio mi preparavo anch’io, tutta trepidante e allo stesso tempo euforica, a quegli incontri tra grandi e alle passeggiate nella piazza del paese. Con il vestitino della festa addosso e il fiocco rosa tra i capelli ti chiedevo: “Tu credi che piacerò al vostro amico Cesco?” Avevo poco più di tre anni e tu quattordici.

Ora sei la nostra stella che ci guida illuminandoci il cammino.

   Grazie, cara Francesca! Splendi per sempre serena perché ci hai donato il tuo calore, la tua intelligenza e il tuo affetto. Per questo tu brillerai sempre radiosa nei nostri cuori.