lunedì 23 novembre 2015

Dov'e' la mia casa?


Questo post e' stato pubblicato su www.amichedifuso.com, il sito delle donne italiane all'estero, e sull'Antologia AA.VV. L'Altro, opere sulla diversita' del genere umano, di BraviAutori.it, 2016

 "La patria di un uomo che può scegliere è là dove arrivano le nubi più vaste" A. Malraux

L’inglese l’ho sempre amato e non solo come lingua. Shakespeare, Jane Austen, Joyce… sono autori che continuano ad affascinarmi. E infatti in inglese mi ci sono laureata e ho dedicato parte della mia vita ad insegnarlo agli altri. Ma gli inglesi? No, quelli proprio no: smilzi e pallidi come un lenzuolo. Quando mi hanno presentato colui che sarebbe diventato mio marito è proprio così che ho pensato: non fa per me! Ma come dice il vecchio adagio? Mai dire mai!

   Ed è così che sette anni dopo mi ritrovo a vivere tra i visi pallidi, nel Paese del vento e della pioggia. Le mie fedeli amiche italiane non perdono occasione per rammentarmelo: “ah…ah…ah… chi l’avrebbe mai detto?” Spesso me lo chiedo anch’io, chi l’avrebbe mai detto? L’espatrio non era certo nei miei piani. Comunque non al seguito di un uomo. Mi ero appena sistemata in un nuovo appartamento così da essere in posizione strategica tra il posto di lavoro e i luoghi per le attività del mio tempo libero. Insomma ero organizzata in una vita da single, libera e indipendente, abituata ad avere l’armadio zeppo e il frigorifero costantemente vuoto.

   Il villaggio in cui vivo ora non conta neppure duecento anime. Si trova nella Valle di Glamorgan a Sud del Galles, dove ci sono più pecore che abitanti. Al centro del paesino c’è uno stagno con due coppie di anatre germano reali, dal quale si dipartono a raggiera sei vicoli abitati. Abbiamo una chiesetta del 1.100 e un pub quasi altrettanto vecchio che ha appena riaperto i battenti dopo due anni di inattività dovuta ai pochi avventori.
   La vita qui scorre tranquilla tra chiacchiere e tea parties. Trovo che i gallesi siano molto friendly, senza il riserbo e l’impassibilità che spesso contraddistinguono i cugini inglesi. Capita infatti che te li ritrovi in cucina, proprio così, entrati senza preavviso…. un po’ come succedeva da noi prima che subentrasse la fobia dei ladri. Quando vado a farmi un giro in bici (tempo permettendo!), in venti minuti raggiungo la costa frastagliata e mi inebrio la vista e il cuore. Mi riempio i polmoni del sapore salmastro dell’oceano.
    Vabbé, all’inizio non è stato facile. Direi che è come imparare ad andare in bicicletta: cadi, ti fai qualche livido ma poi ti rimetti in sella e ci riprovi, finché non trovi l’equilibrio. E’ allora che ti godi il senso di libertà. A volte succede anche che mi senta un po’ tagliata fuori: la capitale è un miraggio lontano (andare a Londra da qui è un’impresa) e l’Italia non è sempre facile da raggiungere, devo affidarmi alla Ryanair, compagnia aerea che però smette i voli da novembre a Pasqua.
   Adesso, se proprio la devo dire tutta (la verità) ci sono certe idiosincrasie degli inglesi che ancora non riesco a mandar giù. Vanno sempre a sinistra –a piedi, in bici, in macchina, a cavallo, a nuoto, per le scale – fuorché in politica (non secondo i canoni europei). E poi affettano il panettone come fosse prosciutto crudo e il crudo come fosse un panettone. Senza parlare del fatto che sono sempre bastian contrario: l’euro NO, l’ Europa? … uhm… Not sure, NO feste comandate infrasettimanali, NO miscelatori per i rubinetti dell’acqua calda e fredda e … NO bidet! Giusto per elencarne qualcuna…
   Ma alla fine mi dico “eddai, che importanza hanno tutte queste bizzarrie britanniche?” E’ qui, precisamente in questa terra di Celti e di nomi impossibili (mi ci sono voluti due anni solo per riuscire a pronunciare il nome del mio villaggio), è proprio qui, tra i pascoli e le nuvole sempre in movimento, che ho trovato la mia serenità, il rispetto, l’amicizia, l’affetto e soprattutto … l’amore.
Ho trascorso le vacanze nella mia cittadina natia, nel Veneto orientale. Come sempre in pochi giorni devi farci stare un sacco di cose, la famiglia, gli amici. E’ bello riassaporare vecchi ricordi, cibi e aromi; rivedere luoghi e persone care. Insieme si chiacchiera, si mangia, si ride. Ma ecco che, inaspettatamente, una parte di me si estranea. D’un tratto mi sento un po’ the odd one out, come dire un’intrusa nel gruppo. Sono qui tra gente che conosco da una vita ma è come se non ci fossi.
   Il diavoletto che è dentro di me riaffiora e comincia a guardarsi attorno con quel senso critico che avevo sempre destinato agli inglesi. Così ora fatico a ritrovarmi nelle infinite discussioni con i miei connazionali, nelle solite diatribe politiche italiane (ma perché si scaldano tutti così tanto?) o negli infuocati discorsi sugli extracomunitari (ma sono davvero la causa dei problemi italiani? Hanno mai provato questi signori che cosa significa vivere all’estero ed essere tu stessa una migrante?) o ancora una serpeggiante arroganza scambiata per orgoglio nazionale…
   Dov’è la mia casa? mi vien fatto di chiedermi allora come il vecchietto nel film Amarcord di Fellini. Mi sento anch’io immersa nella nebbia, in una foschia emozionale che confonde il mio senso di appartenenza. Dov’è la mia casa, in Gran Bretagna dove vivo o in Italia dove sono nata e cresciuta? Finirà mai questo zigzagare fisico ed emotivo tra una sponda e l’altra del mare? O forse questo sentimento che provo si riconduce in realtà ad un cerchio, metafora di un viaggio che mi riporta perennemente a ripartire e a ricominciare? Pensieri ad alta voce …
    Your home is with me, no matter where we are. La tua casa è con me, non importa dove siamo” suggerisce serafico mio marito dalla sua armchair…

E tu che ne pensi? Dov'e' la tua casa?

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