sabato 28 febbraio 2015

Francesca


Nelle acque spumose di una vasca idromassaggio in una cittadina del Sussex, i miei piedi urtano contro quelli di una signora dai capelli color platino e gli occhi grandi e scuri.
   “Mi scusi...” ma poi  mi correggo, “oh, sorry!” e rifletto sul mio italiano ancora cosi’ istintivo, nonostante gli anni trascorsi in Inghilterra.
   “Anch’io sono italiana” risponde la signora “e mi scuso tanto per il mio orribile accento inglese.”
   Sorpresa e incuriosita decido di approfondire la conoscenza. Questa e’ la storia di Francesca, settantacinque anni di eta’, figlia di una coppia di emigranti italiani.

 “I miei genitori erano emigrati a Londra” racconta con un percettibile accento toscano. “Se n’erano andati dall’Italia negli anni trenta, cosi’ come molti loro connazionali. Provenivano da un villaggio vicino a Lucca. La poverta’ e la fame non avevano dato loro altra scelta se non lasciare la loro terra e cercare lavoro oltre Manica. Cominciarono con un piccolo business di pesce e patate.”
   “Ah ... fish and chips” dico io.
   “Si, si, pesce e patate, per l’appunto. Con l’entrata in guerra dell’Italia nel secondo conflitto mondiale, nel 1940, i due Paesi si ritrovarono dalla parte opposta. L’Italia fascista era alleata della Germania nazista mentre l’Inghilterra stava con la Russia comunista di Stalin.”
   “Gli italiani diventarono i nemici, e’ cosi’?”
   “Si, solo per la ragione di essere nati in Italia. Per ordine di Churchill tutti i maschi italiani di eta’ compresa tra i 17 e i 70 anni furono radunati nel cuore della notte, strappati alle loro famiglie e internati in campi di prigionia inglesi.”
   Ne ero a conoscenza. In Galles, proprio vicino al nostro villaggio, c’e’ un vasto terreno verde recintato dove mi e’ stato detto si trovavano le baracche dei prigionieri politici. Ci tenevano i tedeschi ma anche molti italiani. Ho saputo dai miei vicini che gli internati furono assistiti dalla popolazione locale che portava loro da mangiare. Tant’e’ che sono nate delle amicizie e a guerra finita alcuni ex-prigionieri decisero di fermarsi, spesso sposando le ragazze che li avevano aiutati.
   “Comunque” continua Francesca sull’onda dei ricordi “io ero piccola quando mio padre fu rinchiuso nell’Isola di Man, al largo delle coste britanniche, nel mare d’Irlanda. L’Isola di Man era conosciuta tra i prigionieri per essere la piu’ dura. Con lui c’era anche Carlo Forte.”
   “Quello della famosa catena d’alberghi e ristoranti?”
   “Si, proprio lui, il capostipite del gruppo. E’ li’ che e’ nata l’amicizia tra Forte e mio padre.”
   Il tono di Francesca si fa piu’ amaro: “Fatto sta che gli inglesi a Londra si erano messi a controllare tutti i documenti e le lettere degli italiani rinchiusi. Vengono cosi’ a scoprire che mio padre aveva inviato una busta in Spagna contenente dei soldi.”
   “In Spagna, perche’ mai? La famiglia non abitava in Italia?”
   “Deve sapere che allo scoppio della guerra civile spagnola un circolo di italiani a Londra aveva organizzato una colletta tra i connazionali per aiutare, cosi’ era stata pubblicizzata la cosa, gli ‘amici spagnoli.” I soldi raccolti erano stati inviati in Spagna per aiutare le forze monarchiche contro le forze repubblicane. Di fatto la monarchia spagnola (come la controparte italiana) sosteneva i fascisti franchisti che combattevano contro i repubblicani, quest’ultimi aiutati dalla Russia comunista di Stalin, alleata dell’Inghilterra.”
   “Ma perche’ sacrificare quei pochi soldi guadagnati a fatica per una guerra che non li riguardava?”
   “ Vede, quelli erano altri tempi. Non era poi cosi’ facile capire cosa era giusto fare. L’ordine era arrivato dall’ Italia. Si doveva collaborare. E mio padre, forse piu’ per ingenuita’ che altro, vi aderi’.”
   “Credo di capire: i suoi genitori erano scappati dall’Italia per rifarsi una vita ma, in un certo senso, erano caduti dalla padella alla brace...”
   “Si. La reazione degli inglesi non si fece attendere. Mio padre fu considerato un traditore e una spia al soldo del regime fascista italiano. Pensavano che avesse legami diretti con i fascisti di Mussolini in Italia. Per farlo parlare fu pestato a sangue... Perse persino l’uso delle mani e le sue lettere a mia madre le dettava all’amico Forte che le trascriveva. Poi fu rispedito a casa.”
   “A casa... in Italia?”
   “Si, ma solo per morire.” Francesca si guarda attorno e sospira. “Mio padre aveva fegato e reni spappolati dalle botte e i calci che gli avevano dato.. sopravvisse solo pochi giorni.”
   E’ la prima volta che ascolto la testimonianza diretta della vita di un italiano rinchiuso in un campo di prigionia inglese e morto a causa delle privazioni e la violenza subita. La mia emozione e’ grande, cosi’ come e’ vivo il dolore di Francesca. Restiamo in silenzio.
   Dopo un attimo di esitazione, le chiedo “Ma... ... che cosa e’ successo dopo? Siete stati aiutati?”
   “Mia madre decise di rimanere con la famiglia in Inghilterra, dove almeno aveva un minimo di lavoro. Ma la vita per noi italiani era diventata difficile anche dopo la fine della guerra. Difficile, se non impossibile. Fu cosi’ che io decisi di trasferirmi a Roma. Diventai insegnante in una scuola internazionale. E’ li’ che ho conosciuto mio marito ... un inglese. E cosi’ sono tornata in Inghilterra dove vivo, anche se il mio cuore e’ spezzato tra l’amore per la famiglia e l’amore per il Paese dei miei genitori.”
   Ci alziamo dal jacuzzi. Francesca ha gli occhi velati e quando riprende a parlare, le parole escono a fatica: “Mi scusi, ma sono molto stanca... meglio se vado...” Si avvia lentamente  con passo incerto, poi aggiunge senza voltarsi indietro: “L’aspetto per un caffe’, la prossima volta che viene da queste parti.”

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2 commenti:

Unknown ha detto...

La guerra da una parte o dall'altra porta sempre dolore, violenza e difficoltà. Bel racconto vissuto...

noiduenelmondo ha detto...

... Molto bella questa storia, ogni volta che ne sento o ne leggo mi viene la tristezza.
Mio marito ha avuto un nonno nei campi di prigionia, mi ha raccontato che la nonna credeva fosse morto poi un giorno all'improvviso dopo anni se lo e' ritrovato davanti... Immagino l'emozione...
Ho lavorato in Sardegna in un resort Forte; il Signore di cui parli sopra si chiamava Carmine, non Carlo.
Se parliamo del suo nome Italiano.
Charles e' un nome che gli e' stato assegnato, ma il suo vero nome Italiano era Carmine.
Ciao!
D.